Testi critici

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Di seguito alcuni estratti dai testi critici più importanti relativi al lavoro artistico del Maestro Giulio Greco:

«La ricerca di Giulio Greco è autentica, moderno esploratore di vicende lontane per trovare la magia del presente e la visione del futuro. Il tutto in un'arte nella quale il possibile diventa regola e la fantasia regna sovrana. Ecco che la luna e le stelle sono territori da esplorare, la gioia o la forza del cuore energia palpitante e l'arte diventa veicolo di divulgazione con una tecnica originale e un atteggiamento artistico autentico.»

Giammarco Puntelli, 2013

«Greco, allora, intraprende un viaggio onirico in sfumature atmosfere fiabesche vestite di tenui colori, che brillano a volte dei caldi gialli e rossi di fuoco, a volte del mistero notturno dei blu, dei viola e dei verdi. È in questi disegni pervasi da un forte lirismo visionario che si rivela l'animo disincantato di Greco: la curiosità mai assopita di un fanciullo, lo stupore di un artista che rimane ammaliato di fronte al mistero e al fascino delle storie perdute.»

Alessandra Pinchera, 2012

«Giulio Greco ha le sue radici antropologiche prima che formative nel Cilento e di questa terra ha ereditato la simbologia arcaica, il segno che diviene amuleto, l'oggetto reperto e quindi memoria da cui quest'artista abstrahit, "trae" le sue opere e ripete un incanto che si rinnova in ogni suo lavoro.»

Alberto D'Atanasio, 2012

«Con Giulio Greco sembra rivivere nella maniera più aggressiva e nuova, l'antico spirito di umiliazione della terra del Cilento: la nudità misera del saio diventa espressività di una materia povera, lacera. Un sacco, oppure il ferro o altri materiali più modesti o il legno dimesso: questa ansia di umiliazione, si attua negli "strappi" di una espressività che dà valore inedito ai colori usati, evocati dalle zone più profonde della coscienza, da un bisogno totale di partecipazione, di confessione libera. La stessa angoscia esistenziale, si trasforma  nella totalità dei sensi, passioni, sentimenti anche sociali: totalità che ha lontane ascendenze in una sorta di misticismo laico.»

Gilberto Madioni, 2011

«La sensibilità poetica di Greco sublima i materiali su cui opera, invitando quasi a un approccio tattile, per indagarne gli spessori e il calore attraverso il tocco della mano. La sua immaginazione, esprimendosi in un linguaggio di assoluta essenzialità, evoca un universo di atmosfere rarefatte, rese vitali dagli effetti della luce che accarezza le rugosità e sottolinea le sovrapposizioni materiche, raccontando la storia di una terra, evocando antiche tradizioni, esaltando la meraviglia nascosta nei gesti quotidiani.»

Paolo Levi, 2010

«Il processo creativo di Giulio Greco inizia da lontano, da quel fondo di memorie sepolte dove i giorni, gli attimi, i vissuti, le voci, le storie si intrecciano e si sedimentano in un immenso giacimento di esistenze umane dal quale il caotico buio attende di divenire cosmo di luce, della stessa sostanza dei sogni».

Maria Rita Montagnani, 2009

«Gli Oracoli, come “soggetti oracolari” e responsi allo stesso momento, sanno parlare a chi va chiedendo ad essi una risposta. Ed essi parlano di noi. Di quello che siamo stati e di quello che saremo. Delle nostre paure. Ma sono prodighi anche di preziosi consigli. L’Arte, così, diventa nelle opere di Giulio Greco l’antidoto poetico alle insicurezze dell’uomo, prendendo il posto delle divinità pagane. […] Giulio Greco, un po’ indovino, un po’ profeta e un po’ poeta, sembra incarnare questa figura arcaica (che io tradurrei con il termine “artista”) e ci propone questi Oracoli che si impongono come responsi artistici utili ad una società, come la nostra, sempre più disintegrata e scissa tra realtà del sacro e del profano».

Emanuele Greco, 2006

«[…] vi è nel nostro Artista l’esigenza di ricostruire o riannodare un legame con le radici della sua terra così ricca di tradizioni e miti evocate da tracce e simboli tuttora presenti e persistenti. La separata, esclusa e dimenticata “Terra del rimorso” di demartiniana memoria diviene allora per Greco, nei suoi momenti di grande intuizione ed illuminazione, terra e territorio culturale di nostalgia, reincanto, riconquista, riscossa culturale e morale per lui e per tutti noi.»

Franco Campoli, 2004

«Il rapporto con il simbolo in Greco è particolarmente suggestivo […]. Il simbolo (o nella sua trasfigurazione di simbolo ferito e mutilato che evoca in maniera enfatizzata e rafforzata la lotta, il martirio e la resurrezione) ha il carisma di rendere visibile l’invisibile, di rendere improvvisamente vicino quello che sembra lontano, di annullare il tempo e lo spazio come ormai inutili sovrastrutture empiriche e riduttivamente sensoriali.»

Franco Campoli, 2004

«Quella di Giulio Greco può essere definita "pittura in movimento" perché è continua ricerca di soluzioni che possano apparire convincenti. Così affronta, macerando le sue tele di balla sino a ridurle a frammenti di idee intrisi di colore, varie soluzioni in attesa di arrivare alla convinzione, più filosofica che estetica, di essere nel giusto. Ma prima crea, abbandona, ritorna, sempre partendo dalla necessità di un contatto diretto, quasi uterino con la materia. Lui i suoi sassi li deve toccare, palpare; ha bisogno di assorbire gelo e calore. Ed è così per ogni materiale che utilizza: deve entrare a far parte del suo cosmo personale prima di finire sulla tela o come tela».

Alberto Gavazzeni, 2001

«UNA e AMORE. Loro due. Soltanto loro due.

Altro non esiste.

Poi, d’improvviso, il gelo.

Amore si allontana, Una cerca di non farlo andare.

Mette in pratica tutte le arti della seduzione.

Niente.

AMORE reagisce male. E scompare.»

Riccardo Cardellicchio, 2001

«Certo, i materiali e i colori adoperati sono altamente sensuali come sempre nelle opere di Greco: ruvida tela da sacchi, fili variopinti cuciti sul fondo dei quadri, colori intensi ma senza lucidità acrilica, colori che non sanno di atelier e di tavolozza sottile, ma che sembrano essere rubati e distillati direttamente da terre vulcaniche, dalla nebbia autunnale, da acque che portano con sé il bluscuro e il grigio delle profondità rocciose dalle quali stanno sorgendo».

Ingo Stermann, 1999

«[...] Intuizione ed espressione, in Greco, si legano in un rapporto diretto, immediato, proprio con quelle modalità nelle quali il Croce credeva si dovesse individuare l'essenza della vera arte».

Mauro Ricci, 1999

«(Sulu chi va chi parti chi è custrittu ri si nni ì teni dirittu…). D’altra parte aveva già fatto osservare che la bBazia è un libro capovolto che può essere letto solo dal di sotto, da chi affonda le proprie radici in quella terra, ma che è assolutamente muto e indecifrabile per chi intenda giudicarlo dal di fuori».

Mauro Ricci, 1999

«La storia linguistica, tessuta da Greco nel corso di una silenziosa lettura degli eventi artistici più sottili e raffinati, approda qui a esiti di limpida tensione formale. Il materiale che accoglie l'immagine è, naturalmente, povero e nudo: con la trama che scopre i suoi fili, con i margini che scompaiono nel muro».

Gianni Cavazzini, 1996

«[...] Un mondo incantato, formato dalle piccole-grandi cose della Natura, come le foglie, le onde del mare, i fiori, gli uccelli, i pesci, la sabbia, i raggi di sole, la luna. Greco dipinge, modella, annoda, spezza, incide, taglia, brucia, ricuce, alla ricerca inesausta della "luce" dell'ispirazione».

Lucio Scardino, 1994

«È un percorso, il suo, che nasce da un intendimento primigenio della pratica pittorica, del fare come processo impregnato d’un senso oscuramente magico e rituale. Le sue antiche immagini, concussioni dello strato segreto del mondo attraverso le sue forme materiali, dichiaravano un’attitudine antropologica, addirittura, una sorta di sapienzialità sorgiva».

Flaminio Gualdoni
«Sono, i colori di Greco, trapuntati di accadimenti minimi, come brividi narrativi: ma in sé come veroniche d'un carattere disagiato, spossato, stremato a volte: ma capace ancora di grazie, d'una garbatezza scontrosa sotto cui si nasconde l'incanto, il margine d'una non stucchevole fantasia, la voglia d'una affabulazione possibile».Flaminio Gualdoni, 1993
«Giulio Greco, pittore di ricerca, […] indaga da tempo in un’area di per sé improntata a semplicità primordiale che è nelle credenze rimaste in sospeso fra superstizione e religiosità: civiltà contadina d’un passato che appare fantastico allo scavo fra miti e leggende. Ne derivano talismani, stendardi, ex-voto che un’alta capacità estetica innalza a valore di feticci stupendi nell’arte contemporanea».Tommaso Paloscia, 1992

«[...] Così i cieli sbranati dai vuoti improvvisi e le lune annebbiate della bruma sintetica, lasciano il posto ad oggetti concreti, riconoscibili e noti, rimpiccioliti o ingigantiti, e che comunicano tra loro vivendo rapporti amorosi, sciogliendosi e dilatandosi per raggiungere l'oggetto desiderato».

Ilaria Mariotti, 1992

«Quasi archeologici reperti di un mondo lontano, di una terra natale, il Cilento, mai dimenticata e a cui sempre la memoria torna, le loro fisionomie si confondono, si sbrecciano e mutano, per armarsi di lingue di fuoco e di rostri puntuti a incastrarsi nella memoria altrui per far rivivere la memoria propria».

Ilaria Mariotti, 1992

«[...] Il suo Studio è un po' magico, un po' luogo di misteriose alchimie, terra di un sud barocco e stracolmo di oggetti, dei segni di antichissime civiltà, ma anche degli inquietanti reliquiari pieni di centinaia di popolari ex-voto».

Andrea Mancini, 1992

«un rombo rosso
infrange la superficie
il mistero di un ninnolo
riconduce all’eterno
non all’inferno che Testori vagheggia
per non deludere le sue ontologie

per queste vie slabbrate e sanguinanti

qualche amore si insinua»

Dino Carlesi, 1992

«Giulio Greco è andato a frugare nella memoria del fanciullesco Cilento, una penisola su cui si sovrapposero nei secoli le magie, le fogge, le scorrerie, gli amori, dai Longobardi ai Saraceni, dai Normanni agli Spagnoli, in un martoriato vagare e sostare di riti e superstizioni».

Dino Carlesi

«Partendo dalla sua terra, il Cilento, ad essa sembrando quasi arrestarsi, in verità, riconoscendo, via, via, l’intercambiabilità, profonda e primigenia, d’ogni “segno” rituale, costruiscono, per noi, gli stendardi, le bandiere, i sandolini in cui l’antico, anzi antichissimo coacervo dei riti balugina nell’oggi e giunge, non solo a farsi percepire, ma a rivelarci, sotto i tumuli delle stagioni e della storia, i suoi sensi e i suoi significati [...] Noi le guardiamo queste “tele”; ne restiamo presi e affascinati. Poi, la mano vorrebbe passarvi e ripassarvi sopra; forse desiderando che i segni, di cui sono ripiene, scaldino e vitalizzino di sé anche il nostro vivere d’oggi; un vivere amaro, disperato e, per ciò che riguarda la “religio”, ciecamente strozzato e muto».

Giovanni Testori, 1989

«L’operazione estetica di Giulio Greco è un affascinante viaggio antropologico tra credenze, miti, pratiche magiche propri della civiltà contadina, ancora oggi – forse – sopravviventi in qualche zona specie dell’Italia meridionale».

Nicola Micieli, 1988
«[...] La grezza juta è il materiale privilegiato dall'artista. Sulla quale, Greco si muove con leggerezza delicata e sognante, e che per questo diviene un luogo rarefatto, da dove s'avvia il processo per l'ulteriore alchimia della risoluzione immaginativa di uno spunto narrativo minimo».Nicola Micieli, 1988